La configurazione urbana del centro storico di Taranto, città nata su un piccolo scoglio circondato dal mare e, per ragioni difensive, chiusa da alte ed impenetrabili mura, ha determinato nel corso di una storia millenaria una serie di condizionamenti che se hanno condannato la città a rinnovarsi nel medesimo luogo, hanno anche contribuito a rafforzarne l’identità, creando una forte relazione tra il mare e la terra. Anche la distribuzione sociale ha risentito nel tempo della conformazione fisica della città: nobili, ecclesiastici, proprietari e commercianti di peso nella parte alta, quella che affacciava su Mar Grande, quella che godeva di aria e di luce e nella quale sorgevano il castello, la cattedrale, l'arcivescovado, le chiese più ricche e importanti e i bei palazzi padronali; giù, verso Mar Piccolo, in verticale, in palazzi bassi e addossati gli uni agli altri, quasi a sostenersi per non scivolare a mare, con porticine che si aprivano nel nero dei vicoli e sui rivoli delle fogne a cielo aperto, pescatori, artigiani e "vaticali".
Il lavoro di ricerca ha posto in evidenza le peculiarità dell’edilizia residenziale aristocratica tarantina la quale era per la maggior parte collocata sull’asse della via Maggiore, oggi via Duomo, punto di raccordo tra la funzione militare e di governo costituita dal castello e dal palazzo del governatore ad oriente e l’aspetto religioso e devozionale costituito dalla cattedrale di S. Cataldo e dai principali conventi, ad occidente, qui sono concentrati alcuni fra i palazzi più importanti della aristocrazia cittadina. Le famiglie Calò, Cosa (poi Galeota), Gennarini, Zingaropoli (poi Fornaro) Acclavio (poi De Bellis) Cotugno de Toledo (poi De Notaristefani), Antoglietta (poi Troilo) ma anche i Delli Ponti che avevano comprato la loro abitazione da una precedente proprietà dei marchesi dell’Antoglietta, hanno ridefinito nel Settecento, il contesto urbano di questa zona, con accorpamenti di più case palazzate confinanti, spesso risalenti ad epoche diverse, acquistate man mano che cresceva il bisogno di rappresentatività e che lo spazio diventava insufficiente ad accogliere figli, nuore e nipoti, tutti per tradizione abitanti nello stesso palazzo.
La storia di questi palazzi, molto ben raccontata dalle fonti documentarie, ci restituisce l’immagine delle classi abbienti dell’età moderna in cui la proprietà e l’ostentazione del proprio lusso costituivano una delle espressioni tipiche della cultura umanistica che si stava diffondendo con il Rinascimento, testimoniando una dimostrazione di gusto e l’espressione di un nuovo codice culturale non legato al sapere e alla conoscenza, ma al prestigio, all’onore e al decoro della stirpe.