Palazzo Carducci è la storica abitazione della famiglia di origine fiorentina che ha dato i natali a Catald’Antonio, famoso traduttore delle “Delizie” di Tommaso Niccolò d’Aquino e autore dello straordinario corredo di note.
Fra i suoi esponenti Ludovico Carducci, marchese di Montemesola, intorno alla metà del Seicento stringe una solida amicizia con Alfonso Artenisio. Le due famiglie posseggono varie proprietà terriere confinanti e abitano nello stesso pittaggio S. Pietro, gli Artenisio in un palazzo composto “di sala, 4 camere superiori, cucina, 2 camere inferiori, due scoverti, la rimessa, la stalla e la cantina” e la famiglia Carducci in vico Seminario, palazzo frutto di acquisizioni diverse operate incorporando case palaziate confinanti. Nel 1649 Ludovico diventa tutore di Giulia Maria Artenisio per disposizione testamentaria dell’amico Alfonso e qualche anno dopo combina il matrimonio della fanciulla con suo figlio primogenito Cataldo Antonio. I due sposi vanno ad abitare nel palazzo in vico Seminario “adobbato con diversi mobili, biancarie, argento et oro lavorato et altri suppellettili di casa” dove nasce il loro primo figlio Bartolomeo che nel 1672 per volontà testamentaria dell’avo Alfonso Artenisio aggiunge al cognome Carducci quello della madre Artenisio.
Grande cura hanno sempre avuto i Carducci per questa loro proprietà urbana, il palazzo, infatti, godeva dello “ ius altius non tollendi” cioè il diritto di non far fabbricare palazzi che potessero superare quello di proprietà della famiglia.
Notevole il patrimonio accumulato dai Carducci nel corso dei secoli oltre al palazzo in pittaggio S. Pietro, con un attiguo forno e casa per il fornaio, una osteria con due stalloni, due botteghe laterali, soprano con sala e dieci camere nella Piazza Grande, quasi certamente con funzioni di albergo, anche le masserie Pizzariello, Paluderbara, la Carduccia, Artenisio o di basso la salina, tutte proprietà che secondo il costume dell’epoca passavano indivise ai figli maschi primogeniti perchè “si abbiano a casare e facciano figli maschi affinchè la casa e nobil fameglia Carducci si mantenghi e perpetui nelle persone de figli maschi.”
Il palazzo Carducci Artenisio che al 1873 risultava “composto dall’atrio del portone, stalla, rimessa, sottani, posture, cantina e piano matto in tutto vani quindici e ventisei camere soprane nel piano nobile”, nei primi decenni del Novecento assunse alcune caratteristiche dello stile liberty e nel 2004 è stato acquisito dal comune di Taranto con arredi, suppellettili e con la ricca biblioteca, andando a rappresentare una vera e propria casa museo della vita aristocratica cittadina, in grado di raccontare non solo la storia di una famiglia, ma di una intera società e di un’epoca. Lo storico edificio per varie vicissitudini è ora vuoto, i mobili, gli arredi e la quadreria sono stati trasferiti nel palazzo Pantaleo, la biblioteca è depositata presso la biblioteca civica Pietro Acclavio.
Inventario dei beni ereditari di Alfonso Atenisio Carducci
1694 marzo 6, Taranto
ASTA, Notaio Catapano Giovanni Antonio, scheda 113, cc. 79r-133r
Ad istanza di Bartolomeo Carducci, erede universale di Alfonzo Artenisio e dopo aver emanato i prescritti bandi pubblici, viene apprezzato l'intero asse ereditario. Il palazzo viene così descritto "consistente in due sale, più camere superiori et inferiori, torri, astrichi, logge, cocina, rimessa di carrozza, cum cortiglio, cantina et altri membri e nelle fenestre le vetriate, sito dentro questa città di Taranto nel pittaggio di S. Pietro, vicino la casa dell'heredi di Francesco Carducci barone di Montemesola, la casa del magnifico Giovanni Capitignano, via publica et altri confini e nel basso uno molino in ordine atto a macinare con due mule"
Apprezzo dei beni sequestrati
1763 maggio 15, Taranto
ASTA, Notaio Mannarini Francesco Nicola, scheda 183, anno 1763, cc.172r-257r
Nel 1743 muore Bartolomeo Carducci avendo nominato, nel suo testamento redatto nel 1739, erede universale il figlio Achille ed erede particolare nella sola legittima l'altro figlio Alfonzo. Morto anche Alfonzo nel 1751, fra gli eredi e i numerosi creditori si apre una vertenza per risolvere la quale il Sacro Regio Consiglio ordina il sequestro del patrimonio e l'apprezzo di tutti i beni. Il palazzo in vico Seminario viene dai periti valutato per 5600 ducati.