La legittimazione archivistica del Regno d’Italia
Grazie alla temporanea stabilizzazione territoriale seguita alla pace di Presburgo (26 dicembre 1805), che aveva portato all’aggregazione di Veneto, Istria e Dalmazia al Regno d’Italia, nel 1808 le autorità francesi decisero che era giunto il momento di attribuire alle autorità italiane ben 117 casse contenenti la documentazione estratta dagli archivi veneziani nel 1797, di cui in molti avevano ignorato il destino, o avevano fatto finta di ignorarlo, per circa un decennio (30).
L’anno seguente a far ritorno in Italia fu un nuovo carico di documenti, stipati in 119 casse, rinvenuti negli archivi di Vienna durante l’occupazione della città da parte delle truppe francesi. Si trattava, in questo caso, di scritture di varia provenienza, estratte a più riprese dagli archivi italiani o comunque relative al governo esercitato dagli austriaci nella Penisola (33).
Quasi tutto il materiale fu inviato a Milano, che in quei mesi divenne dunque il centro di raccolta e smistamento di un’immensa mole documentaria. Si trattava, a ben vedere, di una sorta di legittimazione “archivistica” del Regno d’Italia, al quale veniva riconosciuto il diritto di gestire direttamente la documentazione riguardante i territori che lo componevano.
Le tensioni fra la capitale Milano e i centri periferici
Iniziò a quel punto una partita tutta interna al Regno. Da un lato, le città “minori”, che desideravano la restituzione del maltolto, dall’altro, la capitale, dove quelle stesse carte erano giudicate come un indispensabile strumento di governo dei territori di nuova acquisizione. A prevalere fu quest’ultima posizione.
Anche il materiale per il quale si ipotizzò il ritorno agli archivi di provenienza, in quanto giudicato non immediatamente utile al Governo, lasciò solo in minima parte la città, a causa di presunte difficoltà di natura logistica ed economica dietro le quali, probabilmente, si nascondeva una buona dose di gelosia da parte degli archivisti incaricati di selezionare il materiale e delle stesse autorità governative.
Si riproponeva, anche in relazione alla documentazione di più recente formazione, quel confronto a tratti ostile tra centro e periferia che aveva caratterizzato la selezione delle pergamene più antiche destinate all’Archivio diplomatico. A risultare particolarmente penalizzata fu ancora una volta Venezia, che recuperò la propria documentazione, peraltro solo parzialmente, non prima della caduta del Regno d’Italia.
Gli archivi locali presi di mira dal popolo in rivolta
Mentre le potenze europee avevano lungamente infierito sugli archivi governativi degli antichi stati italiani, merce di scambio nelle estenuanti trattative che seguivano ogni conflitto, e le città del Regno d’Italia si litigavano quanto si era riusciti a recuperare, trasformando la documentazione del passato, remoto o più recente, in un simbolo di preminenza o di autonomia nello scontro ideale tra centro e periferia, anche a livello locale gli archivi vissero un periodo particolarmente turbolento, segnato da distruzioni e dispersioni più o meno volute.
Emblematico fu il caso dell’Archivio della Prefettura del Dipartimento dell’Adda, andato quasi completamente distrutto nel 1809 durante l’assalto di una banda di rivoltosi (34). L’episodio si inserisce nelle insorgenze antifrancesi che in quel frangente segnarono la Valtellina e molti altri dipartimenti del Regno d’Italia, moti favoriti dalla ripresa delle ostilità tra la Francia e le principali potenze europee riunite nella Quinta coalizione, ma che in alcune zone dell’Italia settentrionale, come l’arco alpino, si erano ripetuti in maniera quasi endemica sin dal 1796.
Il malcontento nasceva da un’insofferenza verso i cambiamenti imposti dall’alto, vissuti in maniera ben più drammatica rispetto alle città in realtà rurali che per secoli si erano rette su equilibri sociali e norme che apparivano quasi immutabili. Tra le ragioni di protesta, ad esempio, vi erano le nuove imposizioni fiscali o la coscrizione militare, motivo per il quale gli archivi, che di quelle novità erano strumento informativo fondamentale, furono molto spesso presi di mira.
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30. Un “viaggio inaspettato” da Parigi a Milano
Senza luogo, [1808]
ASMi, Atti di governo, Uffici e tribunali regi, Parte moderna, b. 349
Quadro de’ volumi e delle carte diverse ritrovate nelle 117 casse spedite da Parigi al Ministero delle relazioni estere ed esaminate dietro ordine di Sua Altezza Imperiale il Principe Vice Re.
Con l’ingresso delle ex province venete nel Regno d’Italia, vennero meno le pretese austriache sulla documentazione sottratta dai francesi a Venezia nel 1797. Alla luce del nuovo assetto territoriale, la documentazione poteva finalmente far ritorno in Italia, per essere assegnata alle autorità competenti.
Fu per queste ragioni che, quasi all’improvviso, nel 1808 giunsero da Parigi a Milano 117 casse contenenti molti dei documenti il cui destino, almeno ufficialmente, era rimasto avvolto nel mistero per oltre un decennio. L’elenco non lasciava adito a dubbi: ecco dove erano finite le carte di cui tanto si era discusso qualche anno prima!
Le Osservazioni presenti nel Quadro sono significative per comprendere i rischi legati alla movimentazione di una così ingente mole di scritture, già in origine «guaste dall’ingiuria del tempo».
33. Nuove scoperte negli archivi viennesi
Milano, 31 ottobre 1810
ASMi, Atti di governo, Uffici e tribunali regi, Parte moderna, b. 366
Rapporto del ministro dell’Interno del Regno d’Italia Luigi Vaccari al viceré Eugenio di Beauharnais relativo alla documentazione milanese e veneziana recuperata in occasione dell’invasione di Vienna e relativo elenco, con l’indicazione degli archivi ai quali destinare il materiale.
Se le carte veneziane richieste a gran voce dall’Austria nel 1804 erano rimaste ben nascoste negli archivi parigini sino al loro trasferimento a Milano del 1808, il tempo dimostrò quanto fossero stati reticenti anche gli austriaci in occasione delle trattative intavolate con il delegato Tambroni.
Il tracollo delle armate imperiali che nel 1809 portò i francesi a occupare Vienna consentì di svolgere nuove e più approfondite ricerche, dalle quali emersero molte altre scritture sottratte a varie riprese dagli archivi italiani, prontamente inviate a Milano in 119 casse.
Nel corso del 1810 presero il via le operazioni finalizzate all’assegnazione del materiale alle autorità competenti. Per 16 casse fu previsto l’invio a Palmanova, in quanto contenenti documentazione di pertinenza delle neonate Province Illiriche, mentre altre 4 furono destinate al Regno di Napoli.
A uscirne per l’ennesima volta frustrate furono invece le aspettative delle ex capitali dei territori del Regno d’Italia, che speravano di riaccogliere immediatamente la documentazione estratta dai propri archivi. Per il momento, infatti, le restanti 99 casse furono trattenute a Milano, in attesa di più approfonditi controlli che si sarebbero protratti per anni: l’Archivio nazionale ricevette ben 88 casse di carte riguardanti la «Lombardia austriaca», il «Ducato di Milano», ma anche la «Romagna» e gli «ex Stati veneti», 4 casse furono inviate alla Biblioteca di Brera, mentre il Ministero dell’interno ne pretese 7, contenenti «carte politiche di una natura assai gelosa, e delicata».
34. Un salvataggio eroico
Sondrio, 5 novembre 1809
ASMi, Atti di governo, Uffici e tribunali regi, Parte moderna, b. 10
Resoconto dell’impiegato della Prefettura del dipartimento dell’Adda (Sondrio) Giuseppe Bellottini del comportamento tenuto da lui e i suoi colleghi durante le insorgenze antifrancesi della primavera 1809, quando una banda di «briganti» distrusse gran parte della documentazione dell’ufficio, e relativo rapporto prefettizio al ministro dell’Interno.
Ad alcuni mesi di distanza, l’impiegato, desideroso di ottenere un premio per la propria condotta, narrò con toni epici le terribili ore nelle quali i rivoltosi calarono a Sondrio dalle montagne circostanti:
«La mattina del sei maggio, tutto Sondrio era scompiglio pel ravvicinamento de’ briganti: fu in quella mattina, che anch’io mi determinai pel viaggio che tennero tutti gli altri impiegati; ero già sortito dalla città, quando mi cadde il pensiero che le prime rabbie de’ briganti non trovando le persone da loro divisate, si sarebbero scagliate sopra le scritture degli uffici: questo bastò per farmi quasi dimenticare la mia salvezza, retrocessi e mi portai immantinenti in Prefettura, chiamando meco gl’inservienti d’ufficio Riatti e Pedrotti, e tutti e tre coll’intenzione di salvare quanto mai si poteva del prezioso archivio».
Mentre erano in corso le operazioni di recupero del materiale, iniziate dai preziosi registri di protocollo, «sopraggiunse la fatale notizia, e già non tardarono i colpi de’ fucili a confermarla, che i briganti erano entrati in Sondrio facendo fuoco sulle armi del Regno, che loro per le prime s’affacciarono». «Abbandonata l’impresa», gli impiegati nascosero quanto avevano recuperato, mettendolo in salvo da «que’ furibondi, che colla ferocia delle belve, parea s’inoltrassero nell’abitato».
Nel rapporto prefettizio fu precisato che i registri superstiti erano stati nascosti «dal furore de’ briganti sotto un mucchio di terra, e di concime», astuzia che consentì di salvare documenti di «grande vantaggio alla Prefettura, allo Stato, ai privati», proprio perché recavano informazioni di sintesi su tutto il resto della documentazione andata distrutta.