III - ARCHIVIO

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

 

Luci e ombre


La sospensione della ricerca di una nuova sede per l’Archivio nazionale e le difficoltà incontrate nella selezione del materiale pergamenaceo negli archivi dei diversi dipartimenti entrati progressivamente a far parte del Regno d’Italia impedirono a Bossi e Daverio di concretizzare i progetti concepiti nei primi anni dei rispettivi mandati.

Venute meno le speranze di autonomia del periodo repubblicano, la svolta autoritaria imposta da Napoleone aveva frustrato le speranze di quanti vedevano nel Diplomatico il simbolo della raggiunta unità nazionale. I tempi erano cambiati e con essi le autorità di governo, non più interessate alle iniziative del Bossi (29). Con l’ex vicepresidente Melzi ai margini della politica attiva, a battersi per l’istituzione del Diplomatico rimasero sostanzialmente solo il prefetto e Daverio. Fu grazie alla loro tenacia se i due riuscirono infine a spuntarla su quanti intendevano separare la collezione pergamenacea dall’Archivio nazionale e seppero limitare le resistenze delle autorità locali che, gelose della preminenza di Milano, fecero di tutto per non consegnare alla capitale le testimonianze storiche del proprio passato (31).

La strenue difesa condotta soprattutto dall’archivista Michele Daverio ebbe infine la meglio, portando all’istituzione del Diplomatico in seno all’Archivio di San Fedele (1807). Si trattò tuttavia di una vittoria parziale: a causa della mancanza di personale e delle scarse risorse economiche a disposizione, l’ufficio non aprì i battenti, se non dopo la caduta del Regno d’Italia.

Non si concretizzò, invece, l’idea di trasferire a Milano la documentazione governativa degli ex Stati entrati a far parte del Regno. L’Archivio di San Fedele era ormai saturo, ma nessuno, tranne Bossi e Daverio, sembrava darsene pena.

Presero il via proprio in quegli anni i primi corposi scarti di documentazione giudicata inutile. Scorrendo gli elenchi del materiale mandato al macero, si possono individuare fonti che oggi, a più di duecento anni di distanza, farebbero la fortuna di molte ricerche storiche.

Alle distruzioni dettate da esigenze logistiche, ne seguirono molte determinate da timori politici. In seguito alle sconfitte napoleoniche, sul finire del 1813 prese sempre più corpo il timore di un ritorno al passato e il passato insegnava che era meglio far sparire le prove più compromettenti celate negli archivi (32).


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