Aspetti del paesaggio lombardo nella cartografia dell'Archivio di Stato di Milano (a cura di Giovanni Liva)
Questa mostra è stata organizzata nell’ambito della prima Giornata nazionale del Paesaggio (14 marzo 2017) istituita, nello spirito della Convenzione europea del Paesaggio, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con decreto 7 ottobre 2016, per approfondire la riflessione sulla cultura del paesaggio, sulla sua tutela e sulla consapevolezza del suo valore, anche attraverso le potenzialità offerte dal patrimonio culturale del nostro paese. Le iconografie esposte – tutte manoscritte, prevalentemente a grande scala, e selezionate fra le centinaia conservate in Archivio di Stato di Milano – offrono alcuni esempi di rappresentazione del territorio, non solo lombardo, dai primi decenni del secolo XVI agli inizi del XVIII, e sono la testimonianza di interventi di varia natura compiuti dall’uomo.
Va precisato che la scienza cartografica nacque già con i Babilonesi, gli Egizi e i Romani, e si sviluppò poi in epoca medioevale. In seguito, con l’invenzione della stampa nel 1455, ebbe un notevole impulso soprattutto a partire dal XVI secolo, in particolare in Olanda, dove si diffuse la grande stagione rinascimentale degli atlanti che rappresentavano in diversa fattura, a piccola scala, territori ben più estesi e che erano il rifacimento, sempre più aggiornato e con edizioni via via più precise, della grande produzione iconografica dovuta alle guerre e poi ai viaggi cinquecenteschi. Come è stato ben scritto da Lucio Gambi,– il più importante studioso italiano di cartografia -, “la carta diventa una necessità ovunque l’uomo per qualche sua impresa di durata media o lunga e soprattutto di ampia portata, deve fare i conti con un determinato spazio della terra, per organizzarlo: quello spazio bene definito nelle sue caratteristiche e nei suoi limiti a cui abitualmente diamo il nome di territorio”. E quindi la cartografia nasce quando lo Stato moderno “imposta, su di una base territoriale di notevole ampiezza, una organizzazione unificata dei poteri e vuole spingere il suo occhio per lo meno su alcuni dei suoi contesti materiali”, come la rete viaria e fluviale, le ripartizioni amministrative e la definizione dei confini.
Pertanto, sebbene le mappe esposte riguardino un periodo precedente alle riforme settecentesche – a parte un’unica carta catastale -, e quindi ancora lontane dal consolidamento di un potere politico, militare e amministrativo centralizzato, tuttavia analizzandole si cominciano a intravedere e a delineare alcuni aspetti parziali di tale processo, come per esempio l’importanza dei rilievi confinari anche se non ancora attuati sistematicamente, come sarà nella seconda metà del ’700.
Le mappe esposte riguardano territori diversi: dal lago di Como, con il vicino confine dei Grigioni, a quelli di Olginate e Annone; dal lago d’Idro nel Bresciano, all’Oltrepò pavese; dal confine orientale con la Repubblica di Venezia segnato dal corso dell’Adda, a quello meridionale con il Parmense. E’ inoltre visibile la mappa catastale ridotta del comune di Cassano d’Adda, testimonianza della straordinaria operazione censuaria attuata in tutti i comuni dello Stato di Milano, a partire dal 1718, secondo le disposizioni di Carlo VI d’Asburgo.
Sono numerosi i particolari del paesaggio idrografico, di quello orografico ma anche delle indicazioni delle colture agrarie proprie delle varie zone, che emergono in ciascuna di queste carte.
Si deve tener presente che tutte le iconografie approntate nei secoli passati furono eseguite con un preciso scopo e su incarico di una determinata committenza, pubblica o privata, e finalizzate ad un criterio di organizzazione territoriale. In sostanza gli elementi del territorio rappresentato rispondevano ad una preordinata volontà di restituire graficamente le informazioni concernenti il corso di un fiume, la delineazione di un confine fra stati o tra comunità, la misura e la stima dei possedimenti dei proprietari di un comune, come fu appunto il caso delle mappe catastali. Ingegneri, agrimensori, geometri e cartografi in genere, approntavano graficamente, spesso con straordinaria efficacia e accuratezza di particolari, ciò che era stato chiesto loro di delineare da parte del committente, rappresentando un’area territoriale più o meno estesa, e rispondendo pertanto a ben determinate finalità. Qualche decennio fa si coniò la felice espressione di “immagine interessata”, per definire le cartografie antiche, sottendendo i precisi scopi e le molteplici motivazioni per cui erano state approntate. Le zone più cartografate sono quelle quindi, insieme alle fortificazioni militari non oggetto di questa mostra, dei confini, specialmente tra stati, e dei fiumi. Le carte dei corsi d’acqua, infatti, furono approntate per disegnare progetti di rettificazione e di riparazione degli alvei e degli argini di fiumi e canali, finalizzati alle questioni dello sfruttamento delle vie d’acqua come mezzo di trasporto e navigazione, della regolamentazione degli usi e dei diritti sulle acque pubbliche e della loro razionale distribuzione per gli usi agricoli o per i diritti di pesca, della costruzione di porti e ponti. Ma anche perché, in buona parte, i fiumi segnavano alcune tratti dei confini dell’allora Stato di Milano: a est con la Repubblica di Venezia attraverso l’Adda e l’Oglio; a sud con la Repubblica di Genova e il Ducato di Parma e Piacenza con alcuni tratti del Po; a ovest con il Ducato piemontese dei Savoia, con il corso del Sesia e, dai primi decenni del ’700, con quello del Ticino.
Va osservato che il disegnatore solitamente enfatizzava e si focalizzava su alcuni elementi della realtà territoriale, cioè su quelli più attinenti al tema della figurazione, mentre disegnava con minori dettagli, o addirittura faceva scomparire, gli oggetti compresenti nel territorio che non si riferissero agli esatti scopi della carta. Tali iconografie, che spesso sono allegate a documenti scrittori, riflettono in sostanza attraverso l’uso di messaggi grafici, i modi di pensare o interpretare la realtà materiale entro cui si svolgeva allora la vita. E naturalmente, anche in relazione all’evoluzione e al perfezionamento della strumentazione usata dai cartografi nel corso dei secoli, avremo rappresentazioni diversamente fedeli e precise. Ogni carta diventa quindi – ancora citando Gambi – “uno specchio grafico non integrale della realtà visibile, ma deliberatamente selezionato e limitato a determinati oggetti e funzioni”. Lo studio di queste iconografie, al di là della loro straordinaria bellezza estetica intrinseca, risulta quindi fondamentale per individuare e riconoscere le modificazioni del territorio, in questo caso prevalentemente lombardo, che si sono succedute nei secoli passati e le effettive ragioni che hanno determinato la loro preparazione. L’importante è essere sempre consapevoli, almeno fino a tutto il secolo XVIII, della parzialità, della non neutralità e dei limiti della rappresentazione cartografica.