Le prime “razzie” negli archivi milanesi e veneziani
Durante il così detto Triennio democratico a subire grandi sconvolgimenti non fu solo l’organizzazione interna dell’Archivio nazionale di San Fedele, ma anche il suo patrimonio documentario.
Prima di abbandonare Milano di fronte all’avanzata delle truppe guidate dal generale Bonaparte, gli austriaci depredarono gli archivi cittadini di alcuni dei fondi più preziosi, secondo una prassi già adottata in passato e che avrebbero replicato nel 1800, quando si apprestarono a lasciare per la seconda volta la città (7).
Ad avere la peggio, in quel torno di anni, furono tuttavia gli archivi di altri territori della Penisola, non ultimi quelli veneziani, sottoposti a una vera e propria razzia da parte dei francesi in vista del passaggio di Venezia e di buona parte della Terraferma sotto il controllo austriaco, in linea con quanto previsto dal trattato di Campoformio (10).
Mentre un’ingente mole di scritture veneziane, in larga parte eccentriche ai territori di pertinenza francese, prese la via di Parigi, facendo ben presto perdere le proprie tracce, altri documenti dell’ex Serenissima andarono ad arricchire proprio l’Archivio nazionale di Milano, deputato a ricevere la documentazione concernente i territori ex veneti attribuiti alla Repubblica cisalpina (11).
A far luce su quelle intricate vicende, in assenza della documentazione originaria, andata in larga parte dispersa, rimangono fortunatamente le testimonianze di vari personaggi coinvolti nella missione affidata nel 1804 a Giuseppe Tambroni, delegato del Ministero delle relazioni estere della Repubblica italiana per il recupero della documentazione milanese presente a Vienna.
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7. Le scritture milanesi «asportate» dagli austriaci
Vienna, 14 luglio 1804
ASMi, Ministero delle relazioni estere, Divisione I (detto Marescalchi), b. 131, fasc. 4
Promemoria di Giuseppe Tambroni, incaricato del recupero della documentazione milanese a Vienna, al ministro delle Relazioni estere della Repubblica italiana Ferdinando Marescalchi.
Come ricordato da Tambroni, sin dal dicembre 1800 il prefetto generale degli archivi e delle biblioteche della Repubblica cisalpina Luigi Bossi si mise in contatto con il barone e consigliere imperiale Sigismondo Moll per il recupero delle scritture milanesi «asportate» dagli austriaci, promettendogli in cambio la consegna di documentazione di pertinenza della corte di Vienna rimasta a Milano.
Nel Promemoria si elencavano sommariamente i principali nuclei documentari che si riteneva necessario rivendicare, tra i quali sono degni di nota:
- 21 registri dell’Archivio del Governatore degli statuti, detto anche Archivio Panigarola, dal nome della famiglia che esercitò la carica per secoli, ufficio incaricato di registrare una serie di atti pubblici e privati di particolare rilevanza, «come tregue, alleanze, paci, etc. etc.», considerato un «prezioso monumento di storia»;
- Documentazione riguardante la Repubblica ambrosiana del 1447 - 1450;
- I Reali dispacci inviati a Milano dall’epoca di Carlo V in avanti;
- Molta documentazione riguardante questioni confinarie e diplomatiche;
- Numerose serie documentarie degli archivi della prima Repubblica cisalpina.
10. La fine di una Repubblica e la dispersione dei suoi archivi
Torino, 25 giugno 1804
ASMi, Ministero delle relazioni estere, Divisione I (detto Marescalchi), b. 132, fasc. 1
Copia di rapporto riservato del prefetto generale degli archivi e delle biblioteche della Repubblica italiana Luigi Bossi al ministro delle Relazioni estere Ferdinando Marescalchi riguardante la documentazione estratta dagli archivi veneziani nel 1797, operazione alla quale aveva partecipato lo stesso Bossi.
Trovandosi a Venezia per altre incombenze, nel 1797 il futuro prefetto degli archivi aveva effettivamente ricevuto ordine dal commissario francese Jean Bassal di raccogliere documenti riguardanti i territori ex veneti destinati a passare sotto il controllo della Cisalpina e della Francia. La ricerca fu compiuta in «quindici o sedici archivi mal tenuti e polverosi», dai quali egli estrasse scritture da inviare a Milano e Parigi.
Bossi si affrettò tuttavia a precisare di non essere stato coinvolto nella gestione dell’importante archivio degli Inquisitori di Stato, alta magistratura politica e giudiziaria della Repubblica di San Marco, e in quello “della Secreta”, costituito soprattutto da scritture diplomatiche, che poco o nulla avevano a che fare con gli interessi francesi e cisalpini, e delle quali in quel frangente l’Austria richiedeva a gran voce la restituzione.
A occuparsene in gran segreto erano stati lo stesso Bassal e i suoi più stretti collaboratori, giunti a Venezia con il preciso compito di analizzare e selezionare gli archivi della Serenissima. Sul destino di quelle carte, che alcuni paventavano essere finite in mani private, Bossi non seppe o non volle fornire informazioni precise:
«Io vidi queste carte all’Isola di S. Giorgio maggiore, dove si imballavano, e si spedivano immediatamente nella barche a Ferrara. (...). L’ordine di Parigi era, che le carte indicate fossero immediatamente spedite in Francia: non saprei dirvi in seguito quello, che ne sia seguito (...)»
11. L’arrivo della documentazione veneziana a Milano
Milano, 9 germinale anno VI
[29 marzo 1798]
ASMi, Atti di governo, Uffici e tribunali regi, Parte antica, b. 257
Rapporto di Luca Peroni, segretario in capo dell’Archivio nazionale di Milano, al ministro degli Affari interni della Repubblica cisalpina, con allegato l’Elenco delle carte ex venete depositate nell’Archivio del Governo in San Fedele per ordine del Direttorio Esecutivo del giorno 17 ventoso anno VI repubblicano [7 marzo 1798].
La documentazione rinvenuta da Luigi Bossi negli archivi veneziani fu inviata a Ferrara, per essere trasferita a Pavia e da qui a Milano. Una minima parte, stipata in quattro casse, fu depositata presso l’Archivio nazionale, mentre il resto del convoglio, costituito complessivamente da quasi cinquanta casse, prese la via di Parigi.
Secondo i testimoni dell’epoca, del materiale inviato in Francia a Milano non se ne seppe più nulla per anni, al pari di quanto era avvenuto con le scritture prelevate direttamente dal commissario Bassal.
Ad attendere i documenti vi era l’archivista Peroni, che nel giro di poche settimane, analizzato con attenzione il materiale, riordinò la documentazione giudicata più utile per l’amministrazione dei territori ex veneti aggregati alla Cisalpina, suddividendola in base alla materia trattata.
Il documento testimonia la grande confusione regnante in quei mesi nell’Archivio milanese, costretto a farsi carico di nuove e laboriose incombenze, come lo era la gestione della documentazione veneziana, senza risorse adeguate e nel disinteresse generale delle autorità governative:
«Mi si accrescono le fatiche, mi si tolgono in un tempo del maggior bisogno gli ufficiali più attivi, più assuefatti al lavoro, per trasportarli altrove (...), si ritarda la promessa sistemazione [dell’ufficio], — denunciò Peroni — e mi si condanna a vivere contornato da incessanti riclami, ed insuperabili mali umori, che tutti vanno a gravitare su di me stesso».